MATTEO MATTIOLI AVVOCATO PENALISTA

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Procura nulla o inesistente: il giudice deve consentirne la sanatoria

2020-11-18 22:05

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Nullità procura,

Procura nulla o inesistente: il giudice deve consentirne la sanatoria

Per la Cassazione civile (sentenza n. 23958/2020) va assegnato alla parte un termine per regolarizzarla, a fronte di qualsiasi vizio, compresa la sua totale man

Secondo la Superma Corte occorre dare atto che l'attuale formulazione ("ratione temporis" applicabile nel caso di specie) del citato art. 182 c.p.c., comma 2, prevede che il giudice, quando rileva un difetto di  rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della  procura al difensore, assegna (e non "può assegnare") alle parti un termine perentorio per sanare  


il difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione.


Dall'interpretazione letterale della norma si evince, dunque, la previsione della sanatoria dei vizi


della procura, attraverso l'assegnazione di un termine da parte del giudice, anche quando la


procura sia del tutto mancante, consentendosene il suo successivo conferimento. In caso


contrario non avrebbe una logica spiegazione il richiamo testuale riferito all'assegnazione del


termine per il "rilascio della procura o per la rinnovazione della stessa" (rimanendo, quindi,


indistinta la causa legittimatrice del potere giudiziale di regolarizzazione, rivolgendosi essa sia


propriamente al difetto di procura che a quello della sua invalidità).


Il legislatore ha, perciò, investito il giudice del potere officioso di verificare la corretta


instaurazione del contraddittorio, dovendo rilevare, sin dalla fase iniziale, i vizi degli atti


processuali relativi allo ius postulandi, permettendo alla parte di poterli emendare senza la


necessità di dover instaurare un nuovo giudizio.


Con l'intervento riformatore del 2009 il legislatore ha inteso, quindi, accedere ad una visione


meno formalistica del processo, ammettendo che, attraverso la segnalazione del giudice, la


parte possa sanare qualunque vizio della procura; la disposizione normativa, evitando una


pronuncia in rito, risponde, in effetti, ad esigenze di economia processuale connesse al


proliferare di giudizi a seguito della dichiarazione di nullità della procura.


Per tale ragione il testo novellato dell'art. 182 c.p.c., comma 2, ha previsto l'obbligo per il


giudice di assegnazione di un termine per la regolarizzazione ("il giudice assegna alle parti un


termine") in luogo della sua facoltà, come sancito nel testo anteriore alla modifica di cui alla L.


n. 69 del 2009, art. 46, comma 2 ("il giudice può assegnare un termine").


Inoltre, mentre il testo previgente prevedeva la possibilità di regolarizzazione della procura solo


nei casi di difetto di rappresentanza, assistenza ed autorizzazione, l'attuale formulazione


estende la sanatoria ai casi di assenza della procura e ai casi che ne implicano la nullità,


facendo salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda, che si verificano fin dal


momento della prima notificazione, se il termine per la sanatoria viene rispettato.


La modifica normativa è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che, nell'interpretare


l'art. 182 nel testo anteriore alla modifica di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, era



unanime nel ritenere che, in tutte le ipotesi in cui si configurasse un vizio della procura, e,


persino in quelle di omesso deposito della procura speciale alle liti, che fosse stata


semplicemente enunciata o richiamata negli atti della parte, il giudice era tenuto ad invitare la


parte a produrre l'atto mancante, e tale invito poteva e doveva essere fatto, in qualsiasi


momento, anche dal giudice dell'appello, sicchè solo in esito ad esso il giudice avrebbe dovuto


adottare le conseguenti determinazioni circa la costituzione della parte in giudizio, reputandola


invalida soltanto nel caso in cui l'invito fosse rimasto infruttuoso (Cass. 11359/2014; Cass. n.


19169/2014 e Cass. n. 3181/2016).


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